Deborah Compagnoni, un libro per i giovani e la felicità sulle montagne: "La mia terra è tutto"

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Sci Alpinol'intervista

Deborah Compagnoni, un libro per i giovani e la felicità sulle montagne: "La mia terra è tutto"

La fuoriclasse valtellinese si è raccontata al "Corriere della Sera", dopo l'uscita di un volume che è tutt'altro che una biografia, ma svela un'infanzia felice. Il dramma vissuto per il fratello Jacopo, un nuovo amore e l'elogio di Sinner, le parole della tre volte campionessa olimpica.

Deborah Compagnoni è donna che sa essere discreta, quasi sempre lontana dai riflettori, legatissima alla sua Santa Caterina Valfurva e con un'umiltà fuori dal comune, lei che potrebbe semplicemente vivere di quanto di meraviglioso fatto in una carriera tormentata ma leggendaria, dai tre titoli olimpici in tre edizioni dei Giochi, in quel viaggio folle da Albertville 1992 a Nagano 1998 passando per Lillehammer 1994, ai tanti trionfi in gigante e la storica doppietta mondiale di Sestriere '97, dopo aver battuto tutte a Sierra Nevada '96 tra le porte larghe.

Ha lasciato il circo bianco 25 anni fa, ma la fuoriclasse valtellinese è sempre nel cuore di ogni appassionato di sci ed è già una notizia quando rilascia qualche intervista, come ha fatto nelle scorse ore al “Corriere della Sera”. La collega Gaia Piccardi l'ha raggiunta per farsi raccontare perchè ha scritto un libro, “Una ragazza di Montagna” (edito da Rizzoli), uscito in questi giorni e che torna sull'infanzia di Debby, fra neve, prati e avventure, “perchè non volevo fare una biografia, tutt'altro.

La dedica è per i suoi tre figli e per le due nipotine, figlie del fratello Jacopo tragicamente scomparso il 16 dicembre 2021, travolto da una valanga sulle sue montagne. “Virginia e Carolina mi chiedevano sempre: zia, raccontaci una storia. Hanno 7 e 5 anni, vivono in montagna e come i miei figli amano moltissimo Pippi Calzelunghe perché è vera.

Jacopo è morto facendo ciò che amava di più, questo pensiero permette di dare un senso alle cose. La dedica alle nipotine è un modo per ricordarlo: era del 1981, troppo piccolo per partecipare alle mie avventure di bambina, ma c'era sempre per le gare. Mamma Adele era stata convinta da Jacopo a fare escursioni insieme: tra loro si era instaurata una connessione forte”.

L'infanzia di Deborah è stata “quella di una bambina molto felice. A 3-4 anni facevo cose che oggi non sarebbero più permesse dai genitori, di certo non nelle grandi città e forse nemmeno in montagna. Avevo un'intelligenza istintiva e godevo di un'autonomia totale. Io, Yuri e Jacopo siamo cresciuti indipendenti grazie al contesto, vivevamo in un albergo e ce la svignavamo continuamente. E fuori c'era il gioco più bello: la natura”.

E se considera lo sport professionistico esasperato, la Compagnoni applaude i passi fatti da Jannik Sinner, atleta di montagna come lei diventato il numero 1 al mondo in un contesto completamente differente dalle sue origini, quello del tennis. “A San Candido sono bene organizzati: i turisti che frequentano l'Alto Adige vogliono giocare a tennis, hanno i campi e gli stessi Alberto Tomba e Isolde Kostner erano bravissimi con la racchetta. D'altronde, i passi, gli spostamenti laterali, l'indipendenza di gambe sono tutte eredità dello sci, che prevede una preparazione multi-sport.

A secco alleni destrezza, rapidità, forza. Poi Jannik è un fenomeno”.

Deborah si divide tra il Veneto e la Valtellina, “quando torno in montagna entro in una dimensione diversa, che mi fa stare bene. Il richiamo della mia terra lo sento molto: è il richiamo della memoria. A Santa Caterina ho casa a 50 metri dall'albergo in cui sono cresciuta, la mia ex cameretta è diventata una stanza. Nelle vetrine del bar sono custodite le coppe, i primi scietti azzurri sono in un armadietto: anche i miei figli e le nipotine hanno iniziato con quei pezzi di plastica colorata. Le medaglie, invece, le ho io ma non sono legata alle cose materiali: ho capito che stare bene dipende da altro, ma non vorrei smarrire gli sci di Albertville e Nagano, esposti al 43° piano della Fondazione Milano Cortina. E Bubu, l'orsetto di peluche che mi regalò il nonno”.

E ancora: “Penso alla raccolta dei rifiuti da tramandare, una sensibilità collettiva che una volta non c'era. Lo racconto in una storia del libro: papà già nel lontano 1979 la sentiva molto, ai figli la insegnò come se fosse un gioco e noi, a nostra volta, abbiamo passato l'abitudine a figli e nipoti. Il senso era fare capire a noi bambini che un piccolo gesto pratico poteva segnare un grande cambiamento per l'ambiente che ci circonda. Il futuro dei luoghi passa attraverso la preservazione”.

C'è un nuovo amore che regala tanta serenità alla campionissima che ha firmato buona parte della storia dello sci italiano in rosa. “Della vita a Treviso non cancello niente – ha risposto nell'intervista riferendosi al matrimonio con Alessandro Benetton - Prendo tutto, a cominciare da tre figli amatissimi. Poi le cose, tutte le cose, finiscono e ora c'è Michele, che fa la guida alpina, e con lui ritorno alle mie origini, alle radici della mia storia. Papà Giorgio, mio fratello Jacopo, gli zii e il nonno, generazioni di guide alpine hanno attraversato per trent'anni la famiglia Compagnoni.

Con Michele sono tornata a fare altre attività nella natura, a parte lo sci: sci alpinismo, trekking, arrampicata. Lui è del Cadore, l'ho conosciuto facendo skialp visto che era la mia guida. Mi ha fatto scoprire cose nuove, permettendomi di tornare allo stile di vita di quando ero bambina. Senza postare nulla sui social, la mia condivisione non passa dall'esibizione. Le regole non mi sono mai piaciute ma certi valori sono fondamentali”.

Infine, che messaggio di sé vorrebbe che passasse attraverso il libro? La risposta di Deborah Compagnoni è, appunto, tutta in una parola che la rappresenta perfettamente: semplicità. “Un appello al ritorno all'autenticità, con meno condizionamenti e meno obblighi di essere a tutti i costi bravi, performanti, interconnessi con il rischio di perdersi per strada la bellezza della realtà. Non mi vergogno a dirlo: la semplicità è un valore”.

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