La diciassettesima puntata del romanzo olimpico invernale, caratterizzata dalle storie drammatiche ma a lieto fine di Dan Jansen e di Nancy Kerrigan e dallo straordinario bottino di 20 medaglie collezionate dall'Italia
Nel 1986 il Comitato Olimpico Internazionale, nella 91a sessione di Losanna che aveva designato Albertville come sede dei Giochi bianchi del 1992, votò a favore della decisione di sfalsare le date delle Olimpiadi invernali rispetto a quelle estive: i Giochi della neve e del ghiaccio si sarebbero d’ora in poi negli anni pari non bisestili e ogni quattro anni, ma la prima edizione “sfalsata” rispetto alla sorella maggiore estiva venne programmata per il 1994, a soli due anni dalla precedente edizione, caso unico nella storia olimpica a parte i Giochi estivi “non ufficiali” di Atene 1906. E così, il 15 settembre 1988, il CIO deve scegliere tra quattro candidate per la 17a edizione delle Olimpiadi invernali. Al primo turno la norvegese Lillehammer prende 25 voti, la statunitense Anchorage 23, la svedese Östersund 19, subito eliminata con 17 Sofia, che era stata la più fiera avversaria di Albertville per i Giochi del 1992. Secondo turno: a Östersund 33 preferenze, a Lillehammer 30, eliminata Anchorage con 22. Niente maggioranza assoluta e si va al ballottaggio con Lillehammer che si aggiudica le Olimpiadi battendo Östersund 45 a 39.
Mai decisione dei membri del CIO fu più azzeccata: i Giochi bianchi tornarono in Norvegia 42 anni dopo Oslo 1952 e quella di Lillehammer fu a detta di tutti la miglior Olimpiade invernale di sempre, per chi scrive fu anche la più bella in assoluto Olimpiadi estive comprese. Tutto fu magico: dalla meravigliosa cerimonia d’apertura in cui in mezzo a folletti e altri personaggi mitologici si raccontava la storia agonistica e non della Norvegia, per proseguire con le gare, impeccabilmente organizzate, il calore della gente e dei tifosi locali, numerosissimi ma sportivi fino all’inverosimile, ci furono storie commoventi e drammatiche che ebbero un lieto fine… insomma, se c’è stato un posto in cui lo spirito olimpico si è incarnato alla perfezione questo è stato proprio Lillehammer. Del resto, essendo la Norvegia da sempre la casa madre degli sport bianchi, non poteva che andare in questo modo. Inoltre, e tutto ciò non guasta nel ricordo dei tifosi di casa nostra, furono le più grandi Olimpiadi di sempre per una spedizione invernale a cinque cerchi italiana.
Ma di questo parleremo dopo, prima di tutto un’occhiata al programma: non ci sono e non ci saranno più sport dimostrativi e gli eventi ufficiali salgono da 57 a 61. Nel freestyle le novità sono i due aerials (salti) maschili e femminili, che vanno rispettivamente allo svizzero Andreas Schönbächler, che un po’ a sorpresa mette in fila ben tre canadesi, e a Lina Cheryazova, che invece era la favorita e che tuttora è l’unica medaglia d’oro olimpica invernale dell’Uzbekistan, nelle gobbe successi del canadese Jean-Luc Brassard e della norvegese Stine Lise Hattestad. Ci sono anche due nuove distanze dello short track, i 500 metri maschili, che vanno al sudcoreano Chae Ji-hoon, e i 1000 femminili, vinti dalla sua connazionale Chun Lee-kyung, le altre due distanze, i 1000 maschili e i 500 femminili, vedono la riconferma dei campioni di Albertville, il sudcoreano Kim Ki-hoon e la statunitense Cathy Turner, la Corea del Sud si aggiudica la staffetta delle donne. Nel pattinaggio di velocità su pista lunga clamorosa doppia riconferma della statunitense Bonnie Blair che come due anni prima si aggiudica i 500 e i 1000 arrivando a un totale di cinque ori olimpici individuali, prima atleta Usa in assoluto a raggiungere questo traguardo. Sui 1500 prevale Emese Hunyady, ungherese di nascita ma austriaca di adozione e di cittadinanza, che sui 3000 è seconda, battuta dalla russa Svetlana Bazhanova, sui 5000 la giovane tedesca Claudia Pechstein batte di poco più di mezzo secondo la più accreditata connazionale nonché campionessa in carica Gunda Niemann.
Nei 500 maschili lo statunitense Dan Jansen, alla sua quarta Olimpiade, è il superfavorito della distanza come già nelle due precedenti edizioni, dopo che a Sarajevo 1984, giovanissimo, era arrivato quarto. Ma nel 1988, poco prima della gara, riceve la notizia che sua sorella Jane è morta di leucemia, Dan è distrutto e cade sia sui 500 sia sui 1000. Nel 1992 è di nuovo quarto e stavolta deluso, diversamente da quando aveva ottenuto lo stesso piazzamento a Sarajevo, a Lillehammer ha 28 anni e ha l’ultima chance di medaglia ma sulla distanza più corta incespica e arriva solamente ottavo, il titolo se lo prende il russo Aleksandr Golubev. Restano i 1000, distanza sulla quale Jansen è sempre stato meno forte rispetto ai 500, eppure è proprio qui che Dan azzecca la gara della vita andando a vincere il tanto sospirato oro olimpico con tanto di nuovo record del mondo. Nei 1500, 5000 e 10000 trionfa con tre primati del mondo e distacchi incredibili rifilati agli avversari il norvegese Johann Olav Koss, già campione in carica dei 1500, che diventa l’idolo di un’intera nazione non solo per le sue doti sul ghiaccio ma anche per il suo altruismo: è e sarà anche in futuro molto attivo nel campo degli aiuti umanitari, in particolare in quelli per l’infanzia, tanto da donare 30000 dollari al progetto Olympic Aid in favore dei bambini di Sarajevo, la città olimpica di dieci anni prima ora tormentata dalla guerra.
Se l’incredibile storia a lieto fine di Dan Jansen è molto poco conosciuta in Italia, è invece celeberrima anche nel nostro paese la vicenda che coinvolge le due pattinatrici di figura Nancy Kerrigan e Tonya Harding, che fu ugualmente a lieto fine per la più meritevole delle due protagoniste. Poco più di un mese prima dei Giochi un energumeno colpisce appena sopra il ginocchio Nancy che si sta allenando per i campionati nazionali. E’ presto evidente che si tratta di un complotto e gli investigatori risalgono al marito di Tonya quale mandante dell’aggressione, e lui, che peraltro si sta separando da lei, dice di averlo fatto per amore di Tonya, invidiosa della più bella e più brava compagna di squadra. Non potendo accertare senza ombra di dubbio che Harding sia la vera mandante le viene concesso di partecipare ai Giochi insieme a Kerrigan, che nel frattempo si è ripresa. Nel programma corto olimpico, per la gioia di tutti gli Stati Uniti, Nancy è prima e Tonya decima a causa di una marea di errori. Nel libero solo l’ucraina Oksana Baiul rovina la festa agli Stati Uniti soffiando di un nulla l’oro a Nancy che è comunque fantastico argento, un gradino meglio che ad Albertville, e diventa l’eroina mediatica del suo paese, al contrario di Tonya che è ottava e che in seguito viene radiata dalle competizioni.
In questa gara femminile c’è il ritorno di Katarina Witt grazie all'apertura di CIO e ISU agli atleti professionisti ma la tedesca, dopo aver ammaliato tutti nel 1984 e nel 1988, non è più in grado di lottare per il titolo e finisce settima ma non manca di omaggiare Sarajevo pattinando sulle note di "Where Have All the Flowers Gone?" nel programma libero. Arrivano in zona medaglia invece i britannici Jayne Torvill e Christopher Dean che vincono il bronzo a 10 anni di distanza dal trionfo di Sarajevo, l’oro va ai russi Oksana Grischuk ed Evgeny Platov. Nelle coppie dell’artistico sei anni dopo Calgary rivincono il titolo i russi Evgenya Gordeyeva e Sergei Grinkov, nella gara maschile il russo Aleksei Urmanov completa l’en-plein dell’ex Unione Sovietica nel pattinaggio di figura trionfando decisamente a sorpresa. Nel biathlon femminile straordinaria doppietta della canadese Myriam Bédard che si impone sia nella sprint sia nell’individuale, la Russia vince la staffetta femminile e le due gare a cronometro maschili, la sprint con Sergey Chepikov e l’individuale con Sergey Tarasov, è tedesca invece la staffetta riservata agli uomini. Nella combinata nordica trionfo del norvegese Fred Børre Lundberg nella Gundersen individuale e conferma del Giappone in quella a squadre. E’ norvegese anche il trampolino piccolo del salto con gli sci grazie a Espen Bredesen mentre Jens Weissflog, a dieci anni dal titolo nel trampolino piccolo, fa suo quello dal trampolino grande e poi trascina la Germania al successo nella gara a squadre. Nel torneo di hockey su ghiaccio del dopo dissoluzione dell’Unione Sovietica finale al cardiopalma tra Svezia e Canada con gli scandinavi che alla sedicesima partecipazione olimpica vincono finalmente il titolo, decisivi al settimo shootout il gol di Peter Forsberg e l’errore di Paul Kariya.
E’ arrivato il momento di celebrare i trionfi dell’Italia in queste Olimpiadi. 7 ori, 5 argenti e 8 bronzi: questo è l’incredibile bottino della spedizione azzurra a Lillehammer che ci colloca al quarto posto nel medagliere davanti alle superpotenze invernali per antonomasia Russia, Norvegia e Germania. La nostra mattatrice è Manuela Di Centa che trionfa subito nella 15 km skating, poi è argento nella 5 km in alternato e nella 10 km tecnica libera a inseguimento nella quale Stefania Belmondo, quarta nella 15 km, risale fino al bronzo col miglior tempo parziale dopo il dodicesimo posto nella 5 km. Le due rivali azzurre sono di bronzo in staffetta insieme a Bice Vanzetta e Gabriella Paruzzi esattamente come due anni prima, infine Manu trionfa anche nella 30 km a tecnica classica disertata da Stefy. Cinque medaglie su cinque gare quindi per la friulana di Paluzza, una in più della russa Lyubov Egorova che però ha un oro in più avendo vinto 5 km, 10 km e staffetta.
In campo maschile si comincia con la 30 km a skating nella quale il 43enne Maurilio De Zolt è quinto, domina il norvegese Thomas Alsgaard davanti al connazionale Bjørn Dæhlie che trionfa nella 10 km classica e qui c’è il bronzo di Marco Albarello, nella 15 km a inseguimento skating bis di Dæhlie e c’è un altro azzurro sul gradino più basso del podio, Silvio Fauner, risalito dall’ottava posizione. Il 22 febbraio è il giorno della staffetta maschile e l’Italia schiera in prima frazione a sorpresa De Zolt che, altrettanto a sorpresa tiene benissimo il passo dei migliori su una distanza, i 10 km, e in una tecnica, l’alternato, che non sono proprio le sue preferite. Gli dà il cambio Albarello che se ne va insieme a Norvegia e Finlandia, poi c’è Giorgio Vanzetta, quindi in ultima frazione tocca a Fauner. Dæhlie stacca il finlandese Jari Isometsä, Fauner resiste, si arriva alla volata finale nella quale l’azzurro prevale su colui che è già il mostro sacro del fondo norvegese zittendo decine di migliaia di persone arrivate al Birkebeineren Stadium per veder vincere i loro beniamini. Un trionfo epocale per l’Italia, resta la 50 km classica che viene vinta dal kazako Vladimir Smirnov, Dæhlie è fuori dal podio, quarto, De Zolt e Vanzetta sono settimo e ottavo.
Sci alpino: nel superG femminile incredibile successo della statunitense Diann Roffe, mai vincitrice nella specialità, e altrettanto incredibile bronzo per la 18enne gardenese Isolde Kostner, a lungo seconda finché col pettorale numero 35 la russa Svetlana Gladisheva non le toglie l’argento. “Isi” si ripete con un altro gradino più basso del podio in discesa alle spalle della tedesca Katja Seizinger, oro, e della statunitense Picabo Street, argento. Nel gigante arriva il giorno della rivincita per Deborah Compagnoni che con lo stesso pettorale, il 14, con cui si era fatta male due anni prima, trionfa per distacco aggiudicandosi il suo secondo titolo olimpico dopo quello in superG a Meribel. Lo slalom, sei anni dopo quello di Calgary, lo vince la svizzera Vreni Schneider, la combinata è dell’olimpionica in gigante di Albertville, la svedese Pernilla Wiberg. Tra gli uomini l’unica medaglia azzurra è del solito Alberto Tomba che dopo la prima manche è dodicesimo a 1”84 da Thomas Stangassinger ma nella seconda il bolognese si scatena compiendo una rimonta ancora più incredibile di quella di due anni prima, per lui è un altro argento a soli 15 centesimi dall’austriaco che per poco non butta via una vittoria ormai ipotecata dopo la prima frazione. Lo statunitense Tommy Moe entra nella galleria delle grandi sorprese olimpiche beffando nella discesa l’idolo locale Kjetil Andre Aamodt, che sarà argento in combinata alle spalle del connazionale Lasse Kjus e bronzo in superG vinto dal tedesco Markus Wasmeier, considerato nella fase declinante della carriera e che invece aggiunge anche il titolo del gigante risultando il personaggio maschile dello sci alpino di questi Giochi.
Due ori azzurri nello slittino con Wilfried Huber che nel doppio insieme a Kurt Brugger batte il fratello Norbert che gareggia con Hansjörg Raffl mentre nel singolo femminile trionfa Gerda Weissensteiner, che soprannomina affettuosamente “Max” la sua slitta. Nella gara maschile, in cui il tedesco Georg Hackl e il suo rivale austriaco Markus Prock si ripetono come due anni prima nello stesso ordine sui primi due gradini del podio, il bronzo lo vince un 20enne altoatesino di nome Armin Zöggeler. Un altro dei quattro fratelli Huber, Günther, è bronzo insieme a Stefano Ticci nel bob a due vinto dallo svizzero Gustav Weder mentre è il tedesco Harald Czudaj a imporsi nella gara a quattro. Infine ci scopriamo grandi anche nello short track principalmente grazie a Mirko Vuillermin che è argento sui 500 metri beffato per soli 2 centesimi dal vincitore Chae dopo aver condotto per tutta la gara, e che poi insieme a Maurizio Carnino, Orazio Fagone e Hugo Herrnhof trionfa nella staffetta. Purtroppo le carriere di Fagone e Vuillermin si spezzeranno nello stesso identico modo tre anni più tardi quando a pochi giorni di distanza due distinti incidenti in moto contro un camion li lasceranno entrambi sulla sedia a rotelle.
Per concludere, gli altri risultati di rilievo dell’Italia: Werner Perathoner è quinto in superG, Norman Bergamelli sesto in gigante, Angelo Weiss ottavo in slalom, Morena Gallizio è quarta in combinata, quinta in superG e nona in slalom, Lara Magoni settima in gigante come Roberta Serra in slalom, Andreas Zingerle è sesto nell’individuale e Nathalie Santer settima nella sprint del biathlon, Silvia Marciandi è decima nelle gobbe del freestyle, il quarto fratello Huber, Arnold, è quarto nel singolo dello slittino con Norbert sesto e Natalie Obkircher quinta nella gara femminile, dulcis in fundo splendido quarto posto per Elena Belci sui 5000, ancora oggi miglior risultato dell’Italia femminile nel pattinaggio di velocità.
Riepilogo
17a edizione dei Giochi Olimpici invernali
Città ospitante e data di svolgimento: Lillehammer (Norvegia), 12-27 febbraio 1994
Atleti partecipanti: 1738 (1216 uomini, 522 donne)
Nazioni partecipanti: 67
Italiani partecipanti: 104 (78 uomini, 26 donne)
Portabandiera italiano: Deborah Compagnoni (sci alpino)
Titoli assegnati: 61 in 12 sport
Apertura ufficiale: re Harald V
Giuramento olimpico degli atleti: Vegard Ulvang (sci di fondo)
Giuramento olimpico dei giudici: Kari Kåring
Ultimo tedoforo: principe Haakon Magnus
Il medagliere
Russia: 11 ori 8 argenti 4 bronzi
Norvegia: 10 ori 11 argenti 5 bronzi
Germania: 9 ori 7 argenti 8 bronzi
Italia: 7 ori 5 argenti 8 bronzi
Stati Uniti: 6 ori 5 argenti 2 bronzi
Corea del Sud: 4 ori 1 argento 1 bronzo
Canada: 3 ori 6 argenti 4 bronzi
Svizzera: 3 ori 4 argenti 2 bronzi
Austria: 2 ori 3 argenti 4 bronzi
Svezia: 2 ori 1 argento
Giappone: 1 oro 2 argenti 2 bronzi
Kazakistan: 1 oro 2 argenti
Ucraina: 1 oro 1 bronzo
Uzbekistan: 1 oro
Bielorussia: 2 argenti
Finlandia: 1 argento 5 bronzi
Francia: 1 argento 4 bronzi
Olanda: 1 argento 3 bronzi
Cina: 1 argento 2 bronzi
Slovenia: 3 bronzi
Gran Bretagna: 2 bronzi
Australia: 1 bronzo
BOLLETTINO NEVE
LOCALITÀ | I.APERTI | H. Min/Max |
---|---|---|
Pinzolo | 13/14 | 5-35 cm |
Klausberg | 11/11 | 35-84 cm |
Bellamonte | 7/8 | 25-40 cm |
Paganella | 19/20 | 35-45 cm |
Sestola | 13/14 | 80-100 cm |
Pila Aosta | 12/14 | 20-30 cm |
Ghiacciaio Presena | 29/30 | 20-70 cm |
Carezza al lago | 13/13 | 80-130 cm |
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