Per prevenire l'asma, la Fis cambierà le regole sulla temperatura minima?

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Per prevenire l'asma, la Fis cambierà le regole sulla temperatura minima?

Continua a tenere banco, nel mondo dello sci di fondo, la questione dell’uso di farmaci anti-asmatici da parte degli atleti norvegesi. In un contesto in cui molti si sentono in dovere di pronunciarsi, non sempre avendo cura di acquisire prima la necessaria cognizione di causa, è di particolare interesse quanto riportato dal tabloid norvegese Dagbladet, che ha dato voce ad alcuni esperti nei campi della medicina sportiva e delle malattie respiratorie.

Gli specialisti convergono su una conclusione fondamentale: l’esercizio fisico in condizioni di freddo estremo favorisce l’insorgere di asma e altre malattie respiratorie.

 “Gli atleti che praticano sport di resistenza incappano in disturbi respiratori per via dell’esercizio fisico stesso, specialmente al freddo. Potremmo paragonare il fenomeno agli infortuni muscolari nel calcio”, ha dichiarato Lars Petersen, medico danese, specialista di malattie polmonari e membro della commissione che investiga sul caso che ha caratterizzato l’estate del fondo.

Sulla stessa lunghezza d’onda Tapio Videman, professore finlandese i cui studi hanno evidenziato la crescita della diffusione dell’asma in paesi nei quali è diffusa la pratica dello sci di fondo a basse temperature, come Russia, Canada, Finlandia, Svezia e la stessa Norvegia.

Al coro si unisce Inggard Lereim, componente del comitato medico della FIS e alfiere della lotta al doping: “È ovvio che il problema sta tutto nella pratica di esercizi prolungati al freddo. Dobbiamo concentrarci di più sulla prevenzione delle malattie polmonari e studiare l’impatto che le condizioni di freddo e vento hanno sugli atleti”. Al riguardo, esiste già una proposta: “Ho chiesto che in una prossima riunione del comitato medico venga discusso l’innalzamento della soglia di temperatura minima per la disputa delle gare. Ora il limite è a -20°C, che è decisamente troppo basso. Spero lo si possa portare a -12°C almeno per le sprint, che sono le gare più critiche”.

Lo stesso Lereim, oltre a suggerire di estendere simili misure alle gare giovanili, ha comunque sottolineato come la questione sia complessa e vada ancora approfondita, ad esempio tenendo conto dell’influenza del vento: “Intorno ai -15°C, un vento di un metro al secondo corrisponde ad una diminuzione di 2.3 gradi della temperatura percepita, ed aggrava l’irritazione polmonare”.

La proposta ha già incontrato i favori di alcune figure dell’ambiente del fondo norvegese, come l’allenatore Vidar Løfshus e Simen Andreas Sveen, atleta e studente di medicina. Quest’ultimo, in particolare, ha posto l’accento su un tema che viene sovente dimenticato quando si parla di sportivi professionisti: quello della vita dopo la conclusione della carriera agonistica.

 “Avremo una vita dopo la carriera nel fondo”, ha dichiarato Sveen. “Non credo che l’utilizzo preventivo di farmaci contro l’asma rientri in una zona grigia medica o etica. Quando le vie respiratorie sono irritate, assumere medicine preventivamente può scongiurare una malattia. L’effetto preventivo riguarda anche la vita che segue la fine della carriera”.

Al termine della stagione 2015, un altro sport di resistenza come il ciclismo si è mosso sul tema della disputa delle gare in condizioni meteorologiche estreme, con l’approvazione dell’Extreme Weather Protocol. I primi casi di applicazione non sono stati particolarmente felici e hanno sollevato più di una polemica, in primo luogo per la poca omogeneità di giudizio. Sarà dunque fondamentale, se davvero si vorrà mettere mano al regolamento, stabilire criteri il più possibile oggettivi. In tal senso, affidarsi ad un pool di esperti, muovendosi quindi sulla base delle indicazioni di questi ultimi anziché su pressioni di atleti e manager, sembra essere l’approccio auspicabile.

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