L’Italia dello speed skating a Sochi. Il c.t. Baroni: “Saremo protagonisti umili”

L’Italia dello speed skating a Sochi. Il c.t. Baroni: “Saremo protagonisti umili”
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Francesco A. Armillotta

Speed Skating

L’Italia dello speed skating a Sochi. Il c.t. Baroni: “Saremo protagonisti umili”

Sbarcata a Sochi da poche ore, la pattuglia italiana del pattinaggio di velocità è cospicua. Gli azzurri allo start delle Olimpiadi invernali 2014 saranno sei. Un buon numero di pattinatori su pista lunga, al via per otto diverse gare individuali. Un risultato che alla fine della scorsa stagione poteva considerarsi difficile da raggiungere. Delle possibilità azzurre ai Giochi ne abbiamo perciò parlato con Giorgio Baroni, uno dei due tecnici, con Stefano Donagrandi, alla guida della squadra.

 

L’attuale binomio è in carica dopo tre anni di guida affidata all’olandese Gianni Romme, ritrovandosi alla prova decisiva a pochi mesi dall’appuntamento a cinque cerchi. In questo periodo, i due tecnici hanno operato alla pari e in totale sinergia. Lavoro che ha aiutato la giovane squadra italiana a presentare un numero maggiore di pattinatori (sei rispetto ai cinque del 2010) in Russia.

Una squadra, quella italiana, che colpisce per la bassa età media che si ferma a soli 23 anni. Tutti esordienti, eccezion fatta per Matteo Anesi (qualificatosi per i 1000m), presente senza sosta sin dalla storica spedizione di Torino 2006. In attesa di vedere gli azzurri all’opera sul ghiaccio dell’Adler Arena, da sabato 8 febbraio (con la gara inaugurale dei 5000m maschili), abbiamo chiesto a Baroni di ripercorrere il percorso olimpico, saggiando le speranze e le motivazioni azzurre. Il tecnico trentino, alla quarta Olimpiade da allenatore ha parlato in esclusiva a Neveitalia poco prima della partenza per la Russia. Il collega Donagrandi è invece alla seconda esperienza a cinque cerchi da bordo pista (era nel terzetto dell’oro storico nell’inseguimento a squadre 2006).

Il denominatore comune del team italiano, però, sembra essere quello misurarsi con la prima esperienza. Mirko Nenzi (in gara nei 500-1000 e 1500m), David Bosa (500), Andrea Giovannini (5000) e le due donne Yvonne Daldossi (500) e Francesca Lollobrigida (3000) saggeranno per la prima volta lo spirito olimpico. Difficile aspettarsi risultati di primissimo piano dagli azzurri, così come conferma Baroni. Sochi fa parte di un percorso che porterà il gruppo al massimo nel 2018. Ma ovviamente,gli italiani non vorranno essere considerati semplici comprimari. Soprattutto Nenzi, reduce da prestazioni in linea coi migliori, è da inserire nella lotta per diventare un outsider di lusso. Il veneziano è reduce da un secondo posto in Coppa del Mondo, un’Universiade d’oro e da un terzo posto nei Mondiali Sprint del mese scorso. Sognare qualcosa d’importante a Sochi non pare un’eresia.

Unica e grande nota dolente, la mancata qualificazione dell’inseguimento a squadre. Per la prima volta dall’introduzione della gara nel programma olimpico, l’Italia non avrà un terzetto sul ghiaccio. Baroni ci spiega il perché.

 

Cinque esordienti su sei qualificati per l’Italia della pista lunga a Sochi. Un risultato inaspettato fino a qualche mese fa?

«Abbiamo un team giovane rispetto al passato. Per noi – spiega Giorgio Baroni - la soddisfazione di essersi qualificati con tanti atleti è grande. La squadra con cui abbiamo iniziato la preparazione in funzione di Sochi ha visto impegnati tredici atleti in totale. Se ne sono qualificati sei per le Olimpiadi: un buon risultato. Purtroppo ci è spiaciuto molto per i tre pattinatori che sono andati vicinissimi alla qualificazione, che sono rimasti nella lista delle riserve senza essere ripescati. Se fossero entrati anche loro, sarebbe stato davvero un colpaccio per il team». (Tra coloro che hanno sfiorato il pass olimpico, ci sono Francesca Bettrone nei 1500 e Paola Simionato nei 500 e Jan Daldossi nei 1000, rimasti in Italia. A loro si può aggiungere Francesca Lollobrigida fuori per pochi centesimi dai 5000, anche se in gara nei 3000 olimpici, ndr).

Secondo lei a cosa sono dovute queste mancate qualificazioni?

«Gli assenti sono rimasti fuori per questioni di centesimi. Anche perché le condizioni per tentare l’assalto ai tempi limite erano difficili. Tutto o quasi si è deciso a inizio Coppa del Mondo, in Nord America. Tra le tappe cruciali di Calgary e Salt Lake c’erano pochi giorni in cui dare tutto. La preparazione doveva essere molto buona per giocarsi le proprie possibilità. Si può dire che forse era addirittura più semplice rimanere esclusi».

Ciò che emerge, però, è che la squadra olimpica avrà un’età media davvero bassa.

«Sì ed è per questo che consideriamo Sochi una rampa di lancio per il futuro di questo sport. Non ci aspettiamo “l’impossibile” dai nostri. Ovviamente, però, abbiamo una punta su cui fare affidamento nelle gare di velocità: Mirko Nenzi. Quest’anno è andato già sul podio di Coppa del Mondo ed è l’unico azzurro che si è conquistato il primo gruppo di merito. Si è inserito più volte tra i primi 10 e quindi il salto di qualità è stato compiuto da Mirko. In lui riponiamo le aspettative grazie alla sua esperienza, unita alla crescita e alla consapevolezza mentale e fisica… Chissà, potrebbero essere qua a Sochi le gare in cui tutto giri alla perfezione. Guardiamo a lui con grande ottimismo, pensando che, sulla carta, lui potrebbe essere il nostro nome da medaglia».

Per quanto riguarda le possibilità degli altri ragazzi?

«Per loro manteniamo un certo ottimismo. Anche se mi piace rimarcare il fatto che la loro partecipazione si può dire che somigli già a una medaglia. Se verrà altro, lo accetteremo ben volentieri. L’importante è che siano pronti a dare il meglio. L’umiltà rimane una caratteristica degli azzurri. Poi, ogni gara ha la sua storia: abbiamo spesso visto che alcuni atleti, magari poco quotati alla vigilia, sorprendessero positivamente».

Cinque esordienti e un solo veterano: Matteo Anesi…

«Fa davvero piacere la sua presenza. Un “veterano”, chiamiamolo così, che può coronare una bella carriera inserendo una nuova Olimpiade nel suo bagaglio di esperienza. Non ci aspettiamo che emuli ciò che è riuscito a fare a Torino 2006, ma rimaniamo ottimisti anche per la sua prestazione».

Sono aumentate anche le quote rosa di questa Nazionale. Per la seconda volta nella storia del pattinaggio di velocità, ci saranno due azzurre al via dei Giochi: anche le donne iniziano ad affacciarsi stabilmente ad alti livelli?

«La prima volta, a Salt Lake City avevamo già due italiane (Paola Simionato e Nicola Mayr, ndr). Purtroppo, negli anni successivi ci sono stati degli imprevisti per la Mayr e non ha partecipato alle qualificazioni. Ma dopo 12 anni tornano due italiane e ne siamo felici. Anche se gareggiano per distanze completamente diverse (Yvonne Daldossi nei 500 e Francesca Lollobrigida nei 3000, ndr), siamo convinti e fiduciosi che diranno la loro. Rimane sempre il rammarico per le due atlete che hanno sfiorato il tempo limite: sarebbe stato un traguardo storico per le “quote rosa”».

La formula olimpica, a differenza di Mondiali e Coppa è più “spalmata” nel tempo (le gare individuali partono l’8 febbraio per concludersi il 19). Potrebbe favorire i ragazzi?

«Sicuramente può favorirli a livello fisico. Però, come contraltare, rimane il fatto che a molti di loro manca esperienza. Si tratterà pur sempre del maggiore evento sportivo a cui abbiano mai partecipato! E non tutti potrebbero reagire emotivamente alla stessa maniera davanti alla pressione delle Olimpiadi. Ovviamente si spera che rimangano tranquilli, ma in questi casi non si può mai esserne certi. La componente emotiva ha inciso, ad esempio, nella mia esperienza con Chiara Simionato a Torino 2006. In teoria era un’atleta da medaglia, ma le cose non hanno funzionato come dovevano».

A poche ore dall’esordio, la tensione è palpabile?

«Si percepisce in loro. Ma è inevitabile sia per i più esperti sia per i debuttanti. Ci può stare e ci dovranno convivere. Non si può fare altrimenti».

L’avvicinamento a Sochi è andato secondo i piani, oppure ci sono stati dei problemi? Anche durante la settimana di allenamenti pre-olimpici a Inzell, in Germania?

«Finora è andato tutto bene. Nessun intoppo o infortunio che abbia compromesso la preparazione. Poi, in questi, casi è sempre meglio avere molta attenzione e anche un po’ fortuna. La trasferta tedesca è stata comunque positiva: tornare su una pista al coperto ci ha dato buone sensazioni. E questo ha influito anche sulla loro fiducia».

Una grave nota negativa, però, c’è: per la prima volta nella storia olimpica, l’Italia non porterà inseguimento maschile. Out pure il Team Pursuit femminile…

«È stato inaspettato, perché sugli inseguimenti contavamo molto e ci abbiamo lavorato molto. Ma non rimpiangiamo nulla, perché il livello medio dei tempi di qualifica è stato altissimo. Per questo dico che noi non abbiamo sbagliato, ma purtroppo la mancata qualificazione delle due squadre è stata dovuta alla grande competitività, forse inaspettata, dei team concorrenti. Lo dimostra il fatto di aver fatto registrare il secondo miglior tempo di sempre dell’inseguimento maschile, a Calgary. Le donne, invece, hanno abbassato per ben due volte il record italiano. E non è bastato. Quindi penso che non possiamo rimproverarci molto. Per i maschi dico solo una cosa: per essere a Sochi, avremmo dovuto battere lo storico primato di Fabris, Sanfratello e Luca Stefani datato 2009. E quest’anno non ci sono andati lontano: non è bastato proprio per “colpa” della concorrenza fortissima delle altre nazioni».

Come sarà il ghiaccio dell’Adler Arena di Sochi?

«L’anno scorso, ai Mondiali su distanza singola, abbiamo avuto l’occasione di testare il ghiaccio con alcuni dei nostri atleti (tra cui Anesi e Nenzi, gli unici presenti anche ai Giochi 2014, ndr). Le notizie che arrivano dall’ambiente, in ogni caso, ci hanno fatto capire a grandi linee su quale tipo di ghiaccio si andrà a gareggiare. Sicuramente non credo che vedremo molti record mondiali o olimpici, anche se non velocissimo. Ma basterà per raggiungere ottime prestazioni cronometriche. Di certo la temperatura dell’Arena non sarà molto fredda, ma a noi va bene perché siamo abituati ad allenarci all’aperto e al freddo (ride)».

Dalla scorsa primavera c’è stata la riorganizzazione del settore tecnico, dopo l’addio di Gianni Romme, lei e Stefano Donagrandi siete tecnici federali alla pari, che seguono tutti i componenti della Nazionale, senza avere dei gruppi separati tra velocità e fondo. Possiamo dire che sia stata una scelta giusta?

«Quest’anno è stata fatta una scelta in accordo con la Federazione di mettere insieme energie ed esperienze con Stefano Donagrandi, seguire in egual misura i due settori. In questo senso pensiamo di aver costruito bene il progetto. Siamo all’inizio, in piena rampa di lancio, ma credo che la soluzione sia stata positiva. Per esempio, il fatto di unire il team per i Giochi 2006 è stato ben più che positivo. Quattro anni prima, con gli stessi tecnici, il programma ha visto me seguire la velocità e Maurizio Marchetto a lavorare con i fondisti: e quelle Olimpiadi non hanno regalato i risultati previsti. Ripetere la scelta anche nel 2013 ha dato i frutti sperati: e credo che non avremmo potuto portare a Sochi un così buon numero di pattinatori, soprattutto giovani».

Quindi il primo anno di sinergia Baroni-Donagrandi è stato positivo?

«Certo, visto che abbiamo ricominciato quasi da zero. Senza parlar male di ciò che è stato e del lavoro degli altri, credo che i risultati di oggi ci diano ragione. Per il resto, rimane il fatto che il primo anno di lavoro abbia portato con sé anche degli errori. Errori che, grazie all’esperienza acquisita, faremo in modo che nella prossima stagione non verranno ripetuti».

Il progetto impone di affacciarsi al futuro prossimo: tra quattro anni avremo più atleti azzurri con ambizioni maggiori?

«Noi puntiamo davvero molto alle Olimpiadi 2018, per diventare protagonisti assoluti. La media dell’età in cui si diventa competitivi è più alta di quella del nostro team. Oggi un pattinatore in pista lunga è al top tra i 26 ai 30 anni. Una volta, dopo i 25 un atleta veniva considerato già in fase calante. Ma la formazione si completa proprio dopo quell’età. E noi tecnici lavoriamo proprio in funzione di questo».

Ma per Sochi, quali speranze dobbiamo aspettarci per i colori italiani?

«I nostri ragazzi sono già consapevoli e tranquilli di tutto ciò che hanno fatto per esserci. Hanno ben presente il loro percorso per qualificarsi alle Olimpiadi e sanno bene qual è il loro valore. Ed è senza dubbio un livello alto. Comunque vada, sanno già che competeranno da protagonisti sul ghiaccio».

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