Il bronzo europeo di Carolina Kostner e la cultura sportiva italiana

Il bronzo europeo di Carolina Kostner e la cultura sportiva italiana
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Getty Images / AFP

Figure skating - Campionati Europei 2014

Il bronzo europeo di Carolina Kostner e la cultura sportiva italiana

La sera di venerdì scorso in cui Carolina Kostner ha vinto il bronzo a Budapest, sua nona medaglia in carriera ai campionati europei di pattinaggio di figura, c’è chi ha immediatamente parlato di delusione.

Questa affermazione secondo noi è completamente immotivata. In quattro delle ultime cinque gare di primo livello mondiale, compresa l’ultima di Budapest, Carolina ha oltrepassato una quota che prima non aveva mai raggiunto in carriera in eventi di questo tipo, quella dei 190 punti sommando le prestazioni nel programma corto e in quello libero. Questo significa che quattro dei cinque titoli europei conquistati, e in particolare quello del 2012 appartenente a questo quadriennio olimpico, e il titolo mondiale sempre nel 2012, li ha vinti con punteggi inferiori.

E, senza minimamente sminuire i suoi meriti, li ha vinti primo, perché a livello europeo aveva una concorrenza inferiore a quella attuale, secondo, perché ai Mondiali di Nizza di due anni fa gli unici due fenomeni che potevano impensierirla, Kim Yu-Na e Mao Asada, erano una assente e l’altra presente ma reduce da innumerevoli vicissitudini personali, su tutte la morte della madre, e quindi non ha potuto rendere al meglio. Paradossalmente profuma maggiormente d’oro l’argento mondiale del 2013 dietro a Kim e davanti ad Asada, oltretutto con otto punti in più rispetto all’oro dell’anno precedente. A Budapest Kostner, pur cadendo su un triplo toeloop e facendo un rittberger doppio anziché triplo ha ottenuto il suo secondo miglior punteggio di sempre agli Europei, inferiore soltanto a quello dell’anno scorso.

Tutto ciò significa che dopo il disastro di Vancouver Carolina, che già in quel momento era la più vincente pattinatrice italiana di sempre e che ha avuto il merito di far appassionare moltissima gente al suo sport nel nostro paese, ha avuto la forza di lavorare per diventare una pattinatrice più solida di quanto non fosse prima e ci è riuscita. Il problema è che nell’ultimo a livello continentale sono arrivate le fenomenali russe della nuova generazione: una, Adelina Sotnikova, aveva già rischiato di batterla l’anno scorso, l’altra, Julia Lipnitskaya, a Budapest ha fatto un programma libero stellare vincendo l’oro all’esordio nella manifestazione davanti a Sotnikova e a Kostner.

Quindi non è certo colpa di Carolina se adesso la concorrenza è aumentata e aumenterà ancora, perché un’altra nidiata di giovani russe sta bussando alle porte della gloria, prima fra tutte Elena Radionova. Delusioni dovevano essere considerate le medaglie d’argento del 2009 e del 2011 dietro a Laura Lepistö e a Sarah Meier, bravissime pattinatrici ma non all’altezza né di Kostner né di queste giovani russe, né tantomeno di Kim e di Asada. Eppure in Italia il bronzo di Budapest è considerato una delusione perché dalle nostre icone ci si aspetta sempre e solo la vittoria (vedi Alberto Tomba e Valentino Rossi: quante volte di loro abbiamo dovuto leggere “solo secondo”?) senza tenere minimamente contro del livello degli avversari, o delle loro assenze.

Per esempio nel biathlon Lukas Hofer ha vinto la sprint di Anterselva. Per carità, bravissimo, ci ha sicuramente fatti emozionare tantissimo, ma in Alto Adige mancavano molti dei primi della classifica di Coppa del Mondo, eppure molti pronosticheranno Lukas come medaglia sicura o molto probabile a Sochi salvo poi massacrarlo se non raggiungerà l’obiettivo. Non bisogna creare delle aspettative eccessive su un’atleta, come è stato fatto per Carolina Kostner fin da quando è stata designata come portabandiera per Torino 2006, e, restando al caso della gardenese, non si può parlare di delusione dopo un bronzo come quello di Budapest dove comunque Carolina si è espressa quasi al meglio. Ma in Italia purtroppo accade tutto questo, segno che come cultura sportiva abbiamo ancora tanto, se non tutto, da imparare.

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