Sochi 2014, le emozioni, i record e le macchie di un'Olimpiade da ricordare

Sochi 2014: le emozioni, i record e le macchie di un'Olimpiade da ricordare
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Sochi 2014, le emozioni, i record e le macchie di un'Olimpiade da ricordare

Un bilancio del ventiduesimo capitolo del romanzo olimpico invernale appena passato dalla stretta attualità alla storia dello sport.

Non si dovrebbe scrivere un articolo in prima persona ma non posso non aprire questo bilancio dei ventiduesimi Giochi olimpici invernali parlando delle grandi emozioni che mi hanno dato e di quello che mi hanno lasciato nel cuore. Vivere un’Olimpiade “sul posto” è un’esperienza unica ma anche tutt’altro che facile, io ne ho vissuta una e tra controlli su controlli, mezzi di trasporto inadeguati alle necessità di tifosi e addetti ai lavori e villaggi olimpici caratterizzati dall’assenza di molti atleti, specialmente degli italiani, ci si accorge che non è tutto oro quello che luccica e che il tanto sbandierato spirito olimpico non è così forte e sentito come sembra dal di fuori, almeno non dalla maggior parte degli atleti e in molti casi nemmeno per colpa loro. Di ogni edizione restano però le grandi emozioni e le grandi imprese che i protagonisti dei Giochi regalano e queste mi restano al termine di questi Giochi che forse per la prima volta ho potuto guardare cercando di perdermi il meno possibile di quanto avveniva.

Probabilmente sarà stato questo seguire intensamente minuto per minuto le Olimpiadi di Sochi che mi ha fatto provare sensazioni che non provavo più da Lillehammer 1994, la più grande Olimpiade della storia in senso assoluto, non solo invernale. Prima che iniziassero si sono fatte grandi polemiche sui costi faraonici della manifestazione, sull’omofobia russa e su mille altre cose, perfino sul lunghissimo viaggio della torcia che si accendeva e si spegneva quando voleva lei. A “Giochi fatti” posso dire che sono state Olimpiadi inaspettatamente bellissime per quelle che erano le premesse della vigilia, con gare spettacolari, a cominciare da quelle della nuova disciplina olimpica dello slopestyle, e piste dello sci alpino che hanno regalato gare più che degne di un’Olimpiade a parte forse i due giganti e la seconda manche dello slalom maschile tracciata da Ante Kostelić in maniera anche più folle dei suoi standard abituali.

Pochissime le macchie, a parte i “zero tituli” dell’Italia: la scarsa presenza di pubblico ad alcune gare, su tutte quelle dello sci alpino, il ritiro per mal di schiena dall’artistico maschile di Evgeny Plushenko, l’atleta che una nazione intera e tutti gli appassionati aspettavano e che in patria è stato pesantissimamente criticato per questo forfait, e il verdetto quantomeno discutibile della gara più bella ed emozionante di queste Olimpiadi, il programma libero dell’artistico femminile del pattinaggio. Nessuno mi toglie dalla testa che la campionessa olimpica Adelina Sotnikova, peraltro pattinatrice meravigliosa e adorabile, sia stata sopravvalutata sul punteggio “componenti del programma” e allo stesso tempo che la campionessa uscente Kim Yu-na sia stata penalizzata su questo stesso punteggio e anche su quello del grado di esecuzione degli elementi tecnici, in particolare dei salti.

Ad ogni modo il verdetto ha favorito l’atleta di casa e piaccia o no bisogna accettarlo senza assolutamente demonizzare il pattinaggio di figura come qualcuno ha fatto auspicando addirittura la sua cancellazione dal programma olimpico, con relativa distruzione dei sogni dei ragazzi e delle ragazze che per inseguire l’obiettivo di una medaglia a cinque cerchi vogliono dedicarsi a uno sport dalla tradizione e dal prestigio secolari. Restano le emozioni fortissime che Kim e Adelina ci hanno dato con la loro esibizione, oltre naturalmente a quelle che mi ha regalato la miglior Carolina Kostner che si sia mai vista in una gara di livello internazionale tanto da conquistare un bronzo che alla vigilia sembrava impronosticabile, ma anche Mao Asada, autrice di un libero spaziale dopo un programma corto ahilei disastroso, e non dimentichiamo Valentina Marchei, undicesima alla sua prima Olimpiade e che come Carolina e il vino migliora invecchiando.

Nella categoria “grandi emozioni” che ho provato rientrano anche la pazzesca rimonta con tanto di volata vincente di Charlotte Kalla che ha regalato alla Svezia un oro che nella staffetta femminile del fondo mancava da ben 54 anni, e poi i 4 rigori sui 6 tentati del match-winner di Stati Uniti-Russia di hockey T.J. Oshie, il trionfo delle ucraine nella staffetta femminile del biathlon a poche ore dalla strage di Kiev, e come non ammirare grandi “vecchi” come lo slittinista russo Albert Demchenko e il saltatore giapponese Noriaki Kasai, che a 42 a e 41 anni hanno vinto entrambi un argento individuale alla loro settima Olimpiade! A proposito di grandi vecchi che hanno emozionato, ci sono due splendidi quarantenni che hanno battuto due dei tanti record migliorati in queste Olimpiadi: l’altoatesino Armin Zöggeler col bronzo nello slittino maschile è diventato il primo a vincere una medaglia nello stesso evento in sei Olimpiadi consecutive, mentre un commovente Ole Einar Bjørndalen coi successi nella sprint e nella staffetta mista del biathlon ha battuto il primato di medaglie olimpiche invernali detenuto dal connazionale fondista Bjorn Dæhlie, che ha in bacheca 8 ori e 4 argenti come Ole Einar ma un bronzo di meno.

Per restare in casa Norvegia, Marit Bjørgen con 6 ori 3 argenti e 1 bronzo vinti in carriera è diventata la donna più titolata ai Giochi invernali mentre i più titolati in questa edizione insieme alla scandinava, con tre ori, sono stati la biathleta bielorussa Darya Domracheva, unica a vincere tre titoli individuali ed espressasi al meglio del suo potenziale nell’occasione più importante, e Victor An, alias Ahn Hyun-soo, sudcoreano passato ai colori russi dopo che venne escluso dai Giochi di Vancouver dal suo paese natio. Non molti se lo ricordano ma Ahn fu da teenager uno dei protagonisti caduti della finale dei 1000 di Salt Lake City 2002 vinta da Steven Bradbury, da allora è diventato il più vincente pattinatore su pista corta di sempre e a Sochi da russo ha ripetuto il bottino che si portò a casa da sudcoreano a Torino 2006, tre ori e un bronzo.

Abbiamo citato Bradbury: la sprint maschile del fondo ha avuto un andamento simile e lo svedese Emil Jönsson ha vinto una medaglia a cui aveva già rinunciato, nello specifico il bronzo, per la caduta dei tre che lo precedevano quando era stato staccato dal resto del gruppo e si era già rialzato. Tornando ai record, detto dell’en-plein della Germania nello slittino e del Canada negli sport di squadra, quattro ori su quattro in entrambi i casi, non era mai successo che in otto gare della stessa edizione olimpica invernale il podio venisse monopolizzato da atleti della stessa nazione, il record precedente era di cinque, e per due di queste, le mass start del fondo dominate dalla Norvegia tra le donne e dalla Russia tra gli uomini, la premiazione si è svolta durante la cerimonia di chiusura, tra l’altro molto più emozionante e coinvolgente di quella d’apertura.

In queste otto gare, in ben quattro occasioni è stata l’Olanda a fare tripletta e in una di queste ha fatto addirittura quaterna, cosa che non si verificava ai Giochi invernali da ben 42 anni, nei 1500 metri femminili del pattinaggio di velocità, disciplina in cui i Paesi Bassi hanno polverizzato sia il record di ori vinti in un unico sport invernale portandone a casa ben otto, sia quello di medaglie vinte, 23 sulle 32 disponibili. Il dramma sportivo maggiore è stato probabilmente quello delle ragazze statunitensi dell'hockey, che a 3 mnuti e mezzo dal termine della finale contro le canadesi vincevano per 2-0 e che si sono ritrovate sconfitte per 3-2 all'overtime, ma anche l'olandese Koen Verweij non dimenticherà tanto presto i 3 millesimi per i quali ha perso l'oro dei 1500 metri maschili, uno dei pochi mancati dall'Olanda nel pattinaggio di velocità. Infine il medagliere, vinto come nel 2010 dalla nazione organizzatrice, particolare significativo dato che l’ultimo paese organizzatore a non vincerlo, nel 2006, è stata proprio l’Italia. E qui veniamo alle dolenti note: per la prima volta negli ultimi 34 anni gli azzurri tornano a casa senza un oro, per la precisione con due argenti e sei bronzi e ben otto quarti posti.

Stavolta non c'è stato il Giuliano Razzoli di turno per far finta di non vedere tutti i problemi che abbiamo da troppo tempo e si temeva che il bilancio potesse essere addirittura peggiore, visto lo stato di salute generale del nostro movimento degli sport invernali, ma una campionessa come Arianna Fontana, con un argento e due bronzi nello short track, e un “animale da grandi eventi” come Christof Innerhofer con l’argento in discesa e il clamoroso bronzo in supercombinata hanno reso il bilancio meno disastroso, oltre ovviamente ai già citati Zöggeler e Kostner e al bronzo della staffetta mista del biathlon, entusiasmante proprio perché difficile da pronosticare alla vigilia. Bisogna ripartire da queste medaglie e anche dai quarti posti, alcuni dei quali valgono come una medaglia vinta come quello di Daniela Merighetti in discesa e di Stefano Gross in slalom, per rilanciare gli sport invernali in Italia, cosa che non è mai stata fatta dopo Torino 2006, anzi, alcuni di quegli impianti olimpici non sono stati più utilizzati rendendo oltremodo difficile il potersi allenare per gli atleti delle corrispettive discipline.

E’ ora di cambiare rotta soprattutto a livello di visibilità mediatica, che Olimpiadi a parte resta inesistente per le discipline della neve e del ghiaccio rispetto ad altri sport come il rugby dove peraltro si continua a vincere poco o nulla, e poi bisogna puntare sui giovani soprattutto in sport dove, almeno in campo maschile, si ha l’impressione che si viva ancora nel ricordo dei fasti del recente passato. Le Olimpiadi di Sochi sono state un formidabile spot mediatico per tutti gli sport invernali e ci auguriamo che molti ragazzi e ragazze si siano innamorati di queste meravigliose discipline e che vogliano inseguire un sogno che è quello della quasi totalità di coloro che praticano sport, la medaglia olimpica. E’ delle nuove leve che c’è bisogno perché questo movimento resti vivo e, possibilmente, torni a essere vincente come è stato fino a otto anni fa.

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