I 30 anni di Magdalena Neuner, la supernova che ha cambiato il biathlon

I 30 anni di Magdalena Neuner, la supernova che ha cambiato il biathlon
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I 30 anni di Magdalena Neuner, la supernova che ha cambiato il biathlon

Il 9 febbraio 2017 Magdalena Neuner compie 30 anni e al tempo stesso cominciano i Mondiali di biathlon, una manifestazione in cui si è aperto e chiuso il cerchio della sua carriera. Vista la ricorrenza, unita all’inizio della manifestazione iridata, è quindi  doverosa una riflessione su quanto abbia rappresentato la bavarese per il biathlon moderno.

Guardando indietro a mente fredda e razionalizzando il tutto vengono i brividi nell’osservare con attenzione il vero peso avuto dalla tedesca nel corso degli anni che vanno dal 2003 al 2012.

Qualcuno si chiederà “Perché dal 2003 se ha esordito in Coppa del Mondo solo nel 2006?”

La migliore risposta sta in quanto scritto il 6 dicembre 2011 - nel giorno dell'annuncio del ritiro - da Massimiliano Ambesi, che spiega la genesi del fenomeno e non solo: 

"Nel corso dell’estate del 2003, mi sono imbattuto per puro caso in una ragazzina bionda che sugli ski-roll viaggiava come un treno, nonostante non fosse un manuale di tecnica.

Venne automatico chiedere informazioni sul suo conto e mi fu risposto: “si chiama Magdalena Neuner, ha 16 anni, è di Wallgau e vale già ragazze di 4/5 anni più grandi.”

Tutto iniziò da quel giorno. L’aspetto che mi entusiasmò maggiormente fu la cattiveria con cui ogni volta inseguiva, raggiungeva e superava compagne di allenamento che si trovavano davanti a lei. Ovviamente, rimasi folgorato ed impiegai pochi secondi nel comprendere di avere avuto l’onore di ammirare un’esponente della sempre più rara stirpe delle predestinate, autentiche fuoriclasse che a 10 anni hanno la meglio su ragazze di 14, a 14 su quelle di 18 ed a 17 sul resto delle maggiorenni.

Nella mia decennale carriera di giornalista e opinionista televisivo, ricordo di aver provato una sensazione del genere in soli altri tre casi: La prima volta avvenne quando vidi pattinare un’adolescente coreana di 14 anni di nome Kim, ancora sconosciuta al grande pubblico. La seconda quando mi fu sottoposto all’attenzione un video di un saltatore austriaco di qualche mese più grande, al secolo Gregor Schlierenzauer. L'ultima quando a Merano, nel settembre 2008, ho avuto la possibilità di vedere dal vivo per la prima volta un pattinatore giapponese di 13 anni di nome Yuzuru Hanyu.

Inutile nasconderlo, Magdalena Neuner mi aveva colpito. Erano i tempi in cui Magdalena Forbserg si era appena ritirata dalle competizioni e in cui Ole Einar Bjoerndalen era fresco dei quattro titoli olimpici conquistati a Salt Lake City. La popolarità del biathlon era sì in ascesa, ma non era ancora comparabile a quella dello sci di fondo.

Va da sé che quel nome Magdalena mi sarebbe entrato in testa per sempre, un po’ perché mi ricordava la grande Forbserg, un po’ perché ero sicuro che molto presto ne avrei risentito parlare

Nell’inverno a cavallo tra il 2002 e il 2003, non ho trascorso fine settimana senza ricevere documentazione sulla piccola Magdalena che, silenziosamente, si imponeva nelle gare del circuito tedesco (categoria under 16), battendo regolarmente biathlete del calibro di Susann König e delle sorelle Hildebrand. Tuttavia, in Germania la carta stampata, in passato come oggi, non prestava troppa attenzione a soggetti così giovani ed anche Lena non sfuggì a questa legge non scritta.

Ciò nonostante, già allora, Magdalena Neuner non aveva per me più segreti ed aspettavo solo il momento più propizio per presentarla al sempre più numeroso pubblico italiano. Nel frattempo, nel dicembre del 2003, Lena, seppur influenzata, fece il suo debutto in quella che sarebbe poi stata ribattezzata IBU Cup, ma non lasciò il segno.

L’occasione che attendevo da qualche settimana si presentò nei primi giorni del Gennaio 2004. La Coppa del Mondo era di stanza a Pokljuka (anziché Oberhof, in quanto da lì a poco la località della Turingia avrebbe ospitato la rassegna iridata) e un venerdì pomeriggio, al termine di un inseguimento femminile vinto per dispersione da Uschi Disl, mi venne in mente proprio Lena, conterranea della vincitrice della competizione. Senza pensarci troppo, proprio nel corso di una diretta televisiva, pronunciai una frase che più o meno recitava così: “Domani a Brusson sono in programma le gare di Coppa Europa, non mancate perché nella categoria junior sarà al via una ragazzina tedesca di 16 anni dal sicuro avvenire. Si chiama Magdalena Neuner, diventerà una stella”.

Sapevo che Lena non mi avrebbe tradito, come di rado è accaduto nella sua carriera, e non a caso, fatto raro per lei, colpì tutti i bersagli dominando la gara da un capo all’altro. Malgrado non avesse ancora compiuto 17 anni, ottenne un tempo nettamente migliore rispetto a quello delle ragazze iscritte alla competizione senior, Tora Berger, Ann Kristin Flatland, Natalia Sokolova ed Irina Malgina comprese. Alla luce delle prestazioni in Coppa Europa, l’allora direttore tecnico della squadra femminile tedesca Uwe Mussigang accarezzò per un attimo l’idea di schierare il piccolo talento nelle gare del circuito maggiore in programma a Ruhpolding, ma poi decise di non forzare i tempi e lasciò che Lena potesse gareggiare contro le connazionali juniores in modo da guadagnare la qualificazione per i Mondiali di categoria in programma sulle nevi francesi di Haute Marienne.

Proprio in Savoia, Magdalena Neuner lasciò percepire il suo innato feeling con i grandi appuntamenti. Esclusa dalla prova individuale in quanto non qualificata, venne schierata nella sprint e, pronti via, sbaragliò la concorrenza, compresa quella Jenny Adler, quasi ventunenne di Oberhof, ritenuta dalla stampa non solo tedesca il futuro della disciplina. In quel momento, nella categoria juniores gareggiavano principalmente ragazze nate tra il 1983 e il 1984, mentre nella categoria youth ragazze nate tra il 1985 e il 1986. Lena, partorita il 9 febbraio 1987 e non ancora diciassettenne, si portò a casa due titoli ed una medaglia d’argento dimostrando di essere la più forte tra quelle che non bazzicavano ancora in Coppa del Mondo.

Il resto è storia dei giorni nostri o quasi. Dal debutto nel circuito maggiore, datato gennaio 2006, al primo successo, arrivato nei primi giorni del 2007, non passò troppo tempo, ma da subito Lena divenne un personaggio di culto per via dell’eterno conflitto tra i suoi punti di forza e le sue debolezze. Infatti, la disarmante superiorità sugli sci stretti si è sempre scontrata con la vulnerabilità nelle sessioni di tiro in piedi, tallone d’achille che, a conti fatti, le è costato una ventina di successi in carriera.

La predisposizione naturale per i grandi avvenimenti non è mai venuta meno, come testimoniato dai tre titoli iridati conquistati nel primo mondiale senior disputato (Anterselva 2007). La sceneggiatura è stata pressoché la medesima anche in occasione della prima ed unica partecipazione ai Giochi Olimpici (Vancouver 2010) in cui, a differenza del solito, concluse la prima gara al posto d’onore, ma si aggiudicò poi ugualmente un paio di titoli.

Magdalena Neuner può essere ritenuta già ora la biathleta più forte di tutti i tempi. Avrebbe potuto proseguire ancora per un decennio, i pochi record che le mancano sarebbero stati sbriciolati e nessuno avrebbe messo in discussione il suo ingresso nella leggenda. Tuttavia, poco dopo aver compiuto 25 anni, Lena dirà basta con lo sport agonistico, logorata da tanti anni di pressioni e comunque appagata per i traguardi raggiunti.

Personaggio a 360 gradi, pur non volendo mai porsi come tale, rimarrà nel cuore degli appassionati per le vittorie, per clamorose sconfitte, i modi garbati, i pianti e le esplosioni di gioia. Il biathlon femminile, diventato negli anni una delle discipline invernali più seguite, farà fatica a trovare una degna sostituta anche perché ogni cosa, nel bene e nel male, ruotava attorno a lei.

Per quanto mi riguarda, si chiuderà un’epoca e passerà la mano l’unica atleta che finora è riuscita a commuovermi per un’impresa sportiva. Il pathos della mass start dei Campionati Mondiali di Ostersund del 2008, vinta al termine di una volata con Tora Berger lunga oltre 2 km., resta qualcosa di unico e forse irripetibile. Peraltro, Lena affrontò la gara con una condizione psicologica non semplice, rinfrancata dal successo nella staffetta mista, ma ancora ferita per via dell’esclusione dalla 15 km. dopo prestazioni non all’altezza del suo nome nella sprint e nell’inseguimento.

Proprio in quell’indimenticabile sabato di metà febbraio andò in scena una delle competizioni più memorabili nella storia del biathlon, una gara che nel suo piccolo rappresenta al meglio l’essenza di una disciplina in cui una vittoria ormai acquisita ti può improvvisamente sfuggire di mano in maniera quasi irreparabile, salvo poi essere riconquistata con un colpo di coda."

Massimiliano chiuse il suo articolo dal titolo "Magdalena Neuner über alles" così:

"Godiamoci gli ultimi quattro mesi di Neuner perché dalla prossima stagione si volterà pagina e per molti il biathlon non sarà più lo stesso."

Da qui riprendiamo il discorso, continuiamo e concludiamo il racconto.

Non è un caso che 2011-’12 di Magdalena sia strano, diverso da tutte le annate precedenti. Con un fisico già appesantito da qualche chilogrammo di troppo riesce comunque a vincere e a tenere a bada la miglior Darya Domracheva di sempre, trovando quella tranquillità al tiro in piedi che le era sempre mancata. Il dominio sugli sci stretti è diventato più blando, ma ha trovato altre armi per vincere.

Mentre veleggia verso la terza Sfera di cristallo in cinque anni (sarebbero state quattro senza i ripetuti malanni dell’inverno precedente) seguendo un percorso completamente differente rispetto al passato sorge spontanea la domanda“Cosa è diventata Magdalena Neuner e soprattutto, cosa avrebbe potuto essere veramente?”

La risposta ce la fornisce lei stessa il 3 marzo 2012, nella sprint iridata di Ruhpolding. Domracheva chiude una gara senza errori per la prima volta in stagione. Lena sta andando forte sugli sci, ma non è così veloce da potersi permettere un giro di penalità. Sa di avere bisogno dello zero anche al tanto temuto poligono in piedi.

Arriva in piazzola con migliaia di occhi puntati su di lei, con una pressione inimmaginabile sulle spalle e con la consapevolezza di avere un’opportunità forse irripetibile. Quante volte la precisione è venuta meno in situazioni decisamente difficili? Lo spettro della debacle nella mass start di Anterselva 2009, quando arrivò all’ultimo poligono con un minuto di vantaggio e sbagliò cinque volte, è sempre dietro l’angolo.

In quel momento a Ruhpolding tremare sarebbe comprensibile. Sarebbe umano. Invece Magdalena, forse per la prima volta in carriera, mostra un volto inedito. Inizia a sparare e pare una macchina. In 9 secondi copre tutti i bersagli con una sicurezza irreale. Al quinto centro Ruhpolding viene scossa da un tuono.
È il boato del pubblico, testimone oculare di un evento che ha del soprannaturale.

Cosa è quella sessione di tiro?

Era stata Mohammed Ali che mette K.O. George Foreman a Kinshasa.

Era stata Michael Jordan che ruba palla a Karl Malone nella gara-6 delle NBA Finals del 1998 per andare a marcare il canestro della vittoria a quattro secondi dalla fine.

Sarà la rimonta di Roger Federer nel quinto set della finale dell’Australian Open 2017.

Sarà l’ultimo quarto di Tom Brady nel Superbowl di domenica scorsa.

È dichiarare “Io sono la più grande” per l’ultima volta, senza possibilità d’appello per gli altri. Il momento in cui questa frase non è più un’opinione, ma si trasforma in un dato di fatto.

Nel caso della bavarese però è qualcosa di più. Una distorsione temporale. Il punto di contatto tra ciò che è stato e ciò che sarebbe potuto essere. Perché probabilmente la VERA Lena la si è vista solo quel giorno e, se avesse deciso di dedicare la sua vita allo sport anziché alla famiglia, avremmo probabilmente assistito a un dominio spaventoso.

Per dare una dimensione della supernova Neuner, si pensi che nel momento del suo ritiro era ancora l’atleta più giovane ad aver vinto in Coppa del Mondo. Nessuna nata dopo di lei si è imposta nel massimo circuito fino a quando è rimasta in attività. Un fatto inaudito nella storia di qualsiasi sport che sintetizza meglio di ogni altro dato quanto fosse anomalo e superiore alla media il suo talento.

Un talento che le ha permesso letteralmente di cambiare il biathlon. Nel giro di 8 anni ha annichilito una generazione di connazionali, costretto le avversarie ad accelerare vertiginosamente un’evoluzione già in atto, ha definitivamente trasformato la disciplina in un fenomeno di massa grazie alla sua popolarità e, fino a quando è scesa in pista, ha reso il settore femminile più interessante di quello maschile.

Come una supernova ha riplasmato l’ambiente circostante, lasciando dietro di sé un periodo di stasi in attesa della formazione di una nuova stella, di cui per il momento non si vede neppure l’embrione.   

Auguri Magdalena, e cento di questi giorni. Te li meriti tutti, perché sei stata davvero unica. E forse irripetibile.

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