"Bubo" Valbusa e un fondo che non c'è più: "Dobbiamo avere il coraggio di ripartire da zero"

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"Bubo" Valbusa e un fondo che non c'è più: "Dobbiamo avere il coraggio di ripartire da zero"

Il campione olimpico, ospite di "Puppo&Ambesi Live by night", analizza la difficile situazione italiana e non solo. Ricordando i tempi meravigliosi dei suoi anni tra aneddoti e legami con il futuro.

Non le ha mandate a dire, con la consueta schiettezza e passione che l'hanno contraddistinto per l'intera carriera e ora nel suo ruolo di commentatore tecnico per Eurosport.

Fulvio “Bubo” Valbusa ha detto la sua nel salotto di Dario Puppo e Massimiliano Ambesi (potete rivedere la puntata su NEVEITALIA e sul nostro canale YouTube), a partire dall'attualità che vede ancora incertezza sulle prossime squadre nazionali di sci di fondo, che la FISI deve ancora ufficializzare, dopo un'altra stagione deludente per gli azzurri eccezion fatta per il solito Federico Pellegrino. “Eravamo una delle nazioni più temute al mondo, ora siamo al top solo in campo sprint grazie a Chicco – la considerazione amara del campione veronese – Credo sarebbe utile creare vere e proprie squadre divise tra sprint e distance, lo stesso Graz per fare un esempio, dove lo mettiamo? Bisogna stare attenti a non scaricare le colpe solo sui tecnici, ma serve tornare alle origini e farsi tutti un esame di coscienza, arrivando alla dirigenza che si trova in difficoltà. Non a caso ci ritroviamo a metà maggio senza gli organici delle squadre, ma ora non si può più tentennare: Pechino 2022 è ormai alle porte e lo stesso vale per le nostre Olimpiadi di casa del 2026. Dobbiamo avere il coraggio di ripartire da zero”.

I tempi dei Sepp Chenetti, definito da Valbusa “il miglior tecnico mai avuto dal fondo italiano, ricordo ancora il colpo di genio che ebbe al Mondiale di Oberstdorf 2005 quando mi schierò, pur senza risultati, nella 15 km in cui arrivò la doppietta con Pietro Piller Cottrer oro e il sottoscritto argento”, sembrano lontani. “Manca la capacità di capire l'atleta e personalizzare il lavoro, penso ad un direttore agonistico come Sandro Vanoi che era durissimo con fuoriclasse come De Zolt, Albarello e Vanzetta. Gente che non apriva bocca e poi ti trascinava in allenamento, rendendo altissimo il livello della competizione e unendo il gruppo al tempo stesso. Servirebbe una direzione di quel tipo, lontana dai corpi militari e dalle pressioni che ne derivano”.

Si è tornati ovviamente sulle imprese di una grande carriera, proprio l'ultima la più bella: “L'oro in staffetta a Torino 2006 sembrava scritto, sapevamo che Piller avrebbe fatto la differenza in terza, ma anche Zorzi fece una grandissima cosa. Si vide la volontà di portare a casa un risultato storico e fu tutto perfetto ad ogni livello, a partire dalla preparazione degli sci”.

Rimpianti? Pochi: “E' vero, ai Giochi di Nagano '98 arrivavo in grande condizione e ottenni solo uno splendido argento in staffetta, collezionando tutti quei quinti posti. Ho fatto tre volte la riserva nelle staffette olimpiche, a partire da Albertville 1992, sono salito sul podio della generale di Coppa del Mondo (3° nel 1996/97, ndr), ma la medaglia con più significato è il bronzo nell'inseguimento del Mondiale di Ramsau, nel 1999, quando saltai un mostro come Bjorn Daehlie per andare a medaglia, ricevendo i suoi complimenti al termine di una gara assurda corsa sotto una bufera di neve”.

E poi ancora i temi legati al fondo in crisi “anche perchè la FIS ha le sue responsabilità, inventandosi gare assurde come le sprint di Are e Dresda, ma con gli stessi tour che non credo possano risultare ancora appetibili. La stessa scalata del Cermis, non me ne vogliano gli amici della Val di Fiemme che è la mia seconda casa, non è vero fondo”, o il confronto con il biathlon che ormai ha operato il sorpasso in termini di interesse. “Non abbiamo il livello necessario in casa Italia e dobbiamo pensare ad ogni tipo di soluzione, anche un Windisch o un Hofer in una staffetta del fondo. Quel che è certo, ora serve cambiare”.

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